L’ultima puntata – dopo una riduzione di ordine da tredici a dieci episodi – è stata trasmessa online e questo dà la misura di quanto e come The Cape sia da considerarsi un fallimento. Le attenuanti ci sono tutte, ma sono già state spese per i primi episodi quando si concedeva la difficoltà nel trasporre un genere prettamente cartaceo nel mondo televisivo e ci si augurava che la serie, visto il potenziale, potesse trovare la sua strada evitando di oltrepassare il confine tra buffo e ridicolo, concentrandosi sui punti di forza che pure c’erano. Be’, questo non è accaduto. Anzi, in parte è accaduto ma il risultato non è stato quello sperato.
Fin da subito situazioni illogiche sottolineate da dialoghi imbarazzanti hanno dimostrato di essere uno dei tre enormi problemi di The Cape. Nel corso delle puntate i moti di ilarità sono scemati ma non certo per un’ efficace azione di pulizia della scrittura, semplicemente perché The Cape si è assestato su un certo livello di monotonia dato dall’incapacità di aggiungere profondità ai personaggi – e ai loro rapporti interpersonali – a cui si è aggiunta la demotivazione nello sperare che la serie decollasse. Da qui arriviamo al secondo grande problema: la famiglia. Insistere nel mostrarci attraverso i flashback l’idilio familiare a cui Vince ha dovuto rinunciare, e insistere successivamente nel mostrarci The Cape che osserva e interagisce con moglie e figlio senza poter loro rivelare la propria identità, non solo non conferisce un minimo di drammaticità al personaggio, ma aggiunge dosi di stucchevole noia nonché di rassegnazione al fatto che la parte family non sarebbe stata utilizzata solo come fattore motivazionale per le imprese dell’eroe, ma avrebbe fatto parte integrante della storia a tutti gli effetti.
In un contesto simile gli attori nulla possono perché, e qui siamo al terzo problema, se ai personaggi non viene data un’anima neanche l’interprete più carismatico potrà riscattare il proprio ruolo. Certo, James Frain porta a casa il suo Peter Flaming sempre in bilico tra ironia e follia, ma di sicuro nulla che resterà nella storia. Così come a David Lyons non si possono imputare colpe gravi: ha la fisicità adatta per incarnare un supereroe, se l’è cavata bene nei momenti in cui era richiesta ironia, ma poi sono arrivate le scene in cui gli si chiedeva di restare appollaiato fuori dalla finestra del figlio, fronteggiare cattivi che neanche Rollo il nanetto del circo prendeva sul serio, e ingaggiare dialoghi inconcludenti, privi di tensione erotica – se questo era l’intento – ed emotiva con Orwell. E qui arriviamo alla parte per me più dolorosa da scrivere: l‘interpretazione peggiore è quella di Summer Glau. Ma ho una mia teoria: quando si è resa conto di ciò di cui faceva parte la sua essenza è volata via lasciando sul set solo il suo corpo come un guscio vuoto. Certo un guscio bellissimo, ma spero per la sua carriera che vengano dimenticate come sono state sottolineate le sue curve perfette (un encomio alla costumista) se questo comportasse anche dimenticare l’espressione spesso assente – e qualche volta attonita – che ha sempre accompagnato Orwell. Un personaggio senza fascino, minimamente interessante, privo di una vera storia che non fosse quella di penetrare istantaneamente nei sistemi informatici più sicuri del mondo. Ah sì, è anche la figlia di Flaming come tutti avevamo, non capito, ma dato per scontato: quando si dice “colpo di scena”. La sua iterazione con Faraday è iniziata e proseguita senza che il loro rapporto compiesse un percorso per guadagnare e concedersi reciprocamente fiducia e aiuto. Le ultime puntate lasciano intendere la nascita di un interesse romantico di Orwell nei confronti di Vince, ma più che un evoluzione del loro legame, l’operazione ha il sapore di un tentativo disperato di ripiegare sulla storia d’amore tra i protagonisti per suscitare un minimo di interesse.
Di questa serie però spero resti qualcosa. Non mi riferisco al Carnival of the Crime che pure è stata una delle note positive (anzi peccato non aver dato maggiormente spazio alle vicende degli abitanti del Luna Park), ma all’opening theme davvero notevole sia per grafica che grazie alle musiche di Bear McCreary. Un po’ poco però per qualcosa che deve appassionare dopo la sigla.
Due e mezzo alla puntata in cui l’amico di Vince riesce a riscattare ilsuo tradimento prima di morire. Una stellina è tutta per il vestito di Summer che le lascia scoperte le spalle.
Due stelle e mezzo all’intera serie perché quanto meno le intenzioni erano buone, e qui e là c’è qualcosa di dignitoso.
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